Analisi predittiva e machine learning: come sono utilizzate nelle diverse App

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In un momento storico in cui i dati digitali rappresentano una delle ricchezze intangibili più importanti e in cui la mole di informazioni disponibili è sempre più estesa, l’utilizzo di strumenti di analisi e di sistemi di apprendimento automatico sempre più sofisticati ed evoluti permette ad aziende di ogni settore e livello non soltanto di migliorare i propri processi decisionali, ma anche di garantire alla loro target audience servizi e prodotti di più sicuro successo.

In questo senso, l’analisi predittiva e il machine learning applicati alle App permettono uno sfruttamento ideale dei Big Data trasformandoli in una esperienza reale per gli utenti. Ma in che modo le App più famose utilizzano e sfruttano tutta la potenza dei dati digitali?

Cominciamo dai grandi big di mercato e dalle App più conosciute: da Amazon a Spotify, da Alexa fino a Google.

L’analisi dei Big Data e il miglioramento dell’esperienza d’acquisto per Amazon

Per quanto riguarda l’analisi predittiva da parte di Amazon, il colosso americano rientra tra i primi brand su scala globale ad aver compreso le potenzialità della Big Data Analytics per migliorare l’esperienza del consumatore.

È possibile ricondurre la prima intuizione di Amazon in questo senso addirittura al 1998, quando il giovane Data Scientist Greg Linden diede vita all’algoritmo di Recommendation finalizzato a proporre ai lettori titoli di libri attinenti ai loro interessi. All’epoca, infatti, Amazon non era ancora il leader dell’eCommerce, ma una semplice startup che vendeva libri online, e le raccomandazioni ai lettori erano effettuate manualmente dallo staff. Fu il CEO Jeff Bezos, qualche tempo dopo, ad avere l’intuizione che avrebbe finito col rivoluzionare il mercato digitale: raccomandare libri specifici a ciascun utente, basando la proposta sulle specifiche preferenze d’acquisto di ciascuno di essi.

Il punto di svolta, però, è da attribuirsi nuovamente a Linden, che ben presto comprese come l’analisi dell’enorme mole di dati a disposizione e la conseguente comparazione non dovesse avvenire tra i vari utenti, ma tra i diversi rating dei prodotti: nasce così l’algoritmo di raccomandazione “item-based collaborative filtering”, che si basa appunto sulla proposta di prodotti correlati che sono il risultato dell’analisi delle valutazioni date dagli utenti, invece che dei semplici interessi degli stessi.

Ad oggi, l’utilizzo del machine learning e dell’analisi predittiva da parte di Amazon si traduce in servizi come Personalized Recommendation, Book Recommendation, Anticipatory Shipping Model, Supply Chain Optimization, Price Optimization, senza dimenticare i nuovissimi “prodotti in omaggio”, ora recapitati ai clienti in base all’analisi automatizzata (ossia basata su algoritmi) dei loro acquisti passati.

L’analisi predittiva in Spotify, sinonimo di esperienza musicale

Ascoltare musica online equivale oggi, per la maggior parte degli utenti, a utilizzare Spotify.

Perché questa piattaforma ha così tanto successo? Perché è in grado di comprendere e analizzare i gusti e le preferenze musicali dei suoi utenti e proporre servizi basati su questo tipo di processo. Il più conosciuto in assoluto è senz’altro Discover Weekly, che altro non è che una playlist basata su un algoritmo e composta da una trentina di brani che l’utente non ha mai ascoltato sulla piattaforma ma che, con ogni probabilità, troverà di suo interesse perché selezionati appunto sulla base dei suoi gusti personali.

Il servizio, che è attivo dal 2015, continua a riscuotere un incredibile successo tra gli utenti non soltanto perché permette a ogni ascoltatore di sentirsi “riconosciuto e compreso” dalla piattaforma, ma anche perché offre la possibilità di fruire di proposte musicali che forse, diversamente, gli utenti non sarebbero stati in grado di individuare da soli.

Ma come riesce Spotify ad ottenere questo risultato?

Attraverso non uno, ma ben tre modelli di raccomandazione estremamente evoluti che, operando in sinergia, danno vita a un potentissimo motore di discovery interno che è in grado di generare playlist uniche e totalmente personalizzate. La Discover Weekly di ogni utente si basa quindi su tre tipologie di Recommendation: modelli di collaborative filtering (che analizzano il comportamento del singolo e dell’insieme di utenti), modelli NLP (Natural Language Processing), che analizzano il testo, e modelli Audio, che analizzano le track, ossia le tracce musicali.

È interessante notare, specialmente per i modelli di collaborative filtering, che Spotify non si basa su un sistema di valutazione dei singoli brani, ma che stabilisce piuttosto il loro gradimento in base al numero di streaming che ricevono, alla loro inclusione in una determinata playlist, alla visita dell’utente sulla pagina dell’artista e così via. Analizzando i comportamenti di utenti “analoghi” per gusti musicali, Spotify riesce quindi a filtrare e proporre brani che non sono ancora stati ascoltati da un determinato utente, ma che sono stati precedentemente apprezzati da altri utenti con gusti molto simili ai suoi.

Per quanto riguarda i modelli NLP, questi si basano sui metadata, sulle news, sugli articoli e blog post presenti nella rete e che permettono a Spotify di intercettare l’opinione degli utenti nei confronti di determinati artisti o proposte musicali. I modelli di Natural Language Procedsing si fondano dunque sull’analisi delle parole più utilizzate per descrivere una traccia, un album, un performer (i cosiddetti “vettori culturali” o “top terms”). Successivamente, i modelli NLP utilizzano queste parole per dare vita a una rappresentazione vettoriale del brano, in modo da comprendere se e in quale modo sia simile ad altri.

Infine, i modelli Audio permettono di comprendere, attraverso l’analisi della traccia musicale, quali siano i brani ancora inediti e dunque non ascoltati dagli utenti, o addirittura i brani nuovi, che hanno ricevuto pochissimi streaming, ma che non per questo non potrebbero essere considerati interessanti da un determinato ascoltatore.

È importante sottolineare che Spotify non si rivela un partner di altissimo valore soltanto per gli ascoltatori, ma anche per le band e gli artisti che desiderano promuoversi sulla sua piattaforma. Il nuovo servizio Spotify for Artists, infatti, altro non è che un’app che permette un accesso completo agli Analytics, con dati di particolare interesse per i professionisti musicali: dai fan generati dalle diverse playlist fino agli stream per singolo brano, per arrivare naturalmente ai follower e agli streaming totali. Può essere, in pratica, considerata una sorta di Google Analytics per musicisti e la recente completa costruzione dell’app mobile-based permette un accesso ideale e costante da tour bus, palchi di tutto il mondo, aeroporti. Non solo: Spotify for Artists offre agli artisti la possibilità di scegliere i loro brani preferiti, pubblicare playlist e inserire la loro biografia, in modo del tutto autonomo e non subordinato a nessuna terza parte.

Amazon Alexa e Google: saper ascoltare è tutto

Al momento attuale, gli smart speaker nel mondo sono ben 30 milioni e il loro numero è destinato a raddoppiare entro dodici mesi. Amazon è la leading company nella proposta di questo tipo di prodotto, con 20 milioni di device venduti nel solo 2017, ma altri giganti – come Google, solo per citarne uno – la tallonano strettamente.

Su cosa si basa esattamente il funzionamento dell’ormai celebre interfaccia Alexa, a marchio Amazon? Essenzialmente, sulla comprensione reale del “parlato” dell’essere umano, ossia sul cosiddetto “natural language processing system”. Echo, Dot e Tap, Amazon Fire TV e la moltitudine sempre più numerosa di prodotti di terze parti che possono essere “comandati” da Alexa sono la dimostrazione che l’intelligenza artificiale, attualmente, funziona davvero e che il suo processo di integrazione con sistemi esterni è giù più che soddisfacente. Il tutto grazie al machine learning, ovviamente.

Questo significa che, quando l’utente chiede ad Alexa informazioni sulle condizioni meteorologiche, il sistema registra il comando vocale e lo invia in internet, agli Alexa Voice Services che, una volta ottenute informazioni rilevanti, le rimandano al device offrendo una risposta precisa alla domanda dell’utilizzatore. Vale la pena menzionare che Amazon non risulta neppure particolarmente “gelosa” di Alexa, tanto che incoraggia i suoi sviluppatori approvati a creare nuove competenze per il sistema di AI, in modo che diventi sempre più evoluto e performante, ossia in grado di rispondere in modo esatto e puntuale alle richieste degli utilizzatori.

Ad oggi e grazie a questo sforzo coordinato, Alexa conta oltre 30.000 “abilità” (skill) in costante evoluzione, che permettono agli utenti di utilizzare il sistema per acquistare prodotti su Amazon, ordinare una pizza su Domino’s, prenotare una corsa con Uber, controllare le luci di casa, effettuare pagamenti online e via discorrendo.

In buona sostanza, un sistema di intelligenza artificiale evoluto è quello che è in grado di imparare: ecco perché il machine learning è alla base dell’immensa potenzialità di Alexa. Tanto più il sistema interpreterà richieste e domande, tanto più si rivelerà ancora più smart all’occasione successiva.

Il machine learning di sistemi voice-based come Alexa (o Google speech) è, in questo caso, non soltanto basato sulla sua capacità di comprendere i comandi verbali degli esseri umani, ma anche di rispondere in modo altrettanto naturale. Il NLG (Natural Language Generation) è dunque l’abilità di un sistema informatico di suonare “naturale” nel rispondere, verbalmente, alla domanda di un utente e, anche in questo caso, le sue capacità stanno diventando sempre più sofisticate.

I grandi che cavalcano l’onda

In definitiva, i Big mondiali hanno compreso l’importanza fondamentale dei sistemi di intelligenza artificiale, analisi predittiva e machine learning e stanno cavalcandone l’onda.

I brand che abbiamo analizzato non sono i soli a sfruttare tutte la potenzialità di queste nuove tecnologie: anche Facebook, Netflix, Apple, NASA, Microsoft e naturalmente Google (si pensi ad esempio a Google Cloud AI o Google Home) lo stanno facendo, non soltanto per dare vita a soluzioni customer-based ma anche per prendere decisioni strategiche inerenti alla loro attività.

Brand così diversi per proposta commerciale non possono che utilizzare machine learning e analisi predittiva nelle modalità più diversificate: dalla personalizzazione della proposta commerciale all’autogenerazione di thumbnails (Netflix), dall’image recognition alla speech recognition (Google), dall’ottimizzazione delle batterie di smartphone e laptop sino agli assistenti vocali (Apple), dalle chatbox all’automatic text transcription (Microsoft), per arrivare addirittura alla cognitive radio (NASA). Senza contare l’evoluzione di piattaforme social come Pinterest (content discovery, monetizzazione, moderazione dello spam e business operation) o di motori di ricerca in poderosa ascesa come Baidu (il suo Deep Voice utilizza il deep neural network).

E le aziende italiane?

Infine, vale la pena spendere qualche parola sulle aziende italiane e sul loro utilizzo dell’Intelligenza Artificiale e delle tecnologie ad essa correlata, che interessa ormai quasi metà dei grandi brand sul territorio tricolore.

Ma come? E in quali settori?

La risposta è: in diversi modi e in diversi settori. Non soltanto l’AI ha effettivamente automatizzato processi ripetitivi offrendo al team “umano” la possibilità (e il tempo!) di dedicarsi ad altre attività in azienda, ma ha favorito anche una migliore e più funzionale interazione tra i brand e il suo target di riferimento: le aziende possono ora sfruttare l’intelligenza artificiale e il machine learning per interagire con i loro utenti grazie alle chatbox, fare in modo che il loro volto venga riconosciuto da sistemi di face recognition, supportare i professionisti della salute nelle diagnosi mediche o nello smistamento di esami specifici come le radiografie, selezionare curriculum vitae attraverso specifici criteri di filtrazione e, naturalmente, proporre servizi o prodotti realmente correlati ai gusti, necessità e aspettative dei loro interlocutori.

 

Fonti:

  • https://www.atlantic-technologies.com/it/
  • https://www.pambianconews.com/
  • https://medium.com/
  • https://www.forbes.com/
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Alessandro Rezzani

Sono un consulente senior nell’ambito della Business Intelligence, specializzato in analisi di Big Data e tecniche di Analisi Predittiva. Nel 2016 ho fondato Dataskills, presto diventata azienda di riferimento nel territorio italiano per soluzioni di Data Science. Sono anche ricercatore e professore presso l’Università Bocconi di Milano.
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    Alessandro Rezzani

    Sono un consulente senior nell’ambito della Business Intelligence, specializzato in analisi di Big Data e tecniche di Analisi Predittiva. Nel 2016 ho fondato Dataskills, presto diventata azienda di riferimento nel territorio italiano per soluzioni di Data Science. Sono anche ricercatore e professore presso l’Università Bocconi di Milano.
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