Il binomio tra Intelligenza Artificiale e arte è ormai sempre più comune e sempre più parte delle conversazioni digitali quotidiane, fermo a una sorta di crocicchio in cui curiosità, stupore e malcontento si incontrano. Ci troviamo, di fatto, in un momento particolarmente divisivo in cui l’AI manifesta un potenziale creativo fino a qualche tempo fa del tutto inimmaginabile e, per contro, gli artisti tengono più che mai a sottolineare la differenza tra arte e artificio.
Ma facciamo un passo indietro e torniamo, quantomeno a grandi linee, all’origine della tendenza attuale della cosiddetta “AI-generated art”, che si è essenzialmente sviluppata nell’ultimo biennio con la creazione di software basati sull’Artificial Intelligence che hanno l’abilità di generare immagini a partire da istruzioni testuali (tale tecnologia prende il nome di TTI, ossia Text To Image).
Come funziona l’arte generata dall’Intelligenza Artificiale: l’esempio di Stable Diffusion
Uno dei marchi considerati oggi sinonimo di arte basata sull’AI è Stability AI, l’azienda che ha creato il software Stable Diffusion e la cui filosofia sarebbe orientata alla “democratizzazione dell’Intelligenza Artificiale per risvegliare il potenziale dell’umanità”.
Stable Diffusion, lo ricordiamo, è il generatore TTI open source che, secondo alcuni, supera nelle performance persino concorrenti temibili quali DALL-E 2. Nello specifico, Stable Diffusion impiega un dataset LAION 5B realizzato dal brand LAION che include al proprio interno circa cinque miliardi di immagini di ogni tipo, ottenute attraverso uno scraping piuttosto aggressivo (e indiscriminato) della rete: ciò significa che il dataset può rastrellare anche materiale potenzialmente coperto da diritto d’autore e certamente realizzato da persone in carne e ossa, senza richiedere la loro autorizzazione.
Per quanto riguarda invece la qualità, l’arte generata con l’AI sta raggiungendo risultati formidabili – specialmente se si considera che è proprio l’aspetto qualitativo il “dettaglio” che le macchine riescono a imitare con maggiore difficoltà (non solo in ambito artistico, ma anche nel linguaggio testuale). La ragione di questo vertiginoso miglioramento è, nuovamente, da ricercarsi nelle enormi quantità di dati sui quali questi software operano attraverso il sistema di apprendimento automatico GAN (Generative Adversarial Network, ossia “reti generative avversarie”). Se, per intenderci, il materiale accumulato nel dataset è di ottima qualità e sostanzioso, anche i risultati artistici prodotti dal software di Intelligenza Artificiale saranno considerevolmente migliori.
Fondata nel 2020, Stability AI avrebbe oggi un valore di mercato pari addirittura a un miliardo di dollari. Tuttavia, non è stata questa l’azienda capostipite dell’Intelligenza Artificiale applicata all’arte: la versione seminale dei software che conosciamo oggi è probabilmente da ricercarsi in Deep Dream, il generatore di immagini lanciato da Google addirittura nel 2007. Chiaramente la tecnologia dell’epoca aveva ben poco da spartire con quella attuale, e i risultati includevano un po’ dappertutto cani dai colori psichedelici che sembravano usciti da – appunto – un sogno. Non a caso, la reazione degli internauti di allora fu di semplice ironia.
Nulla a che vedere con le opinioni discordanti sull’AI-generated Art di cui è permeata la rete oggi. Per intenderci, quella prodotta da – oltre a Stable Diffusion – Midjourney e dal già citato DALL- E.
E sebbene vi siano ancora alcuni limiti (per esempio, Midjourney sembra non essere granché talentuoso nel disegnare le mani), si prospetta già sul breve termine un’evoluzione tecnologica ulteriore e vertiginosa di questi software.
Intelligenza Artificiale e arte: cosa dicono gli artisti
L’opinione sull’arte prodotta dai software AI è divisa e divisiva, e vede protagoniste due fazioni principali e opposte: quella degli artisti a favore e quella dei creativi contrari all’impiego di questa tecnologia nella realizzazione di opere che, di fatto, rappresentano una sintesi tra fantasia e ingegno.
Da un lato abbiamo quindi artisti come il tedesco Mario Klingemann, che considera l’arte prodotta dall’AI come una fonte di assoluta ispirazione e un mezzo fondamentale per ottenere risultati migliori. In tal senso, Klingemann fa propria una filosofia che vede gli esseri umani come creature “non originali. Ci limitiamo a reinventare, a fare connessioni tra cose che abbiamo visto.” Al contrario, le macchine “possono invece creare da zero.”
E ancora, tra i sostenitori dell’AI-generated Art c’è anche l’artista e filosofo italiano Francesco d’Isa, che per primo ha pubblicato immagini e storie realizzate con il software Midjourney sulla propria rivista L’Indiscreto. Secondo d’Isa, tecnologie come quelle attuali dovrebbero essere considerate solo ed esclusivamente come strumenti: un po’ come le macchine fotografiche, che ritraggono ciò che è l’occhio del fotografo a vedere. Nel caso del TTI, il software produrrebbe quindi soltanto ciò che l’essere umano gli ordina di creare.
“Questi software non sono androidi antropomorfi con un’intelligenza e una personalità propria, ma modelli algoritmici basati su enormi quantità di dati creati dagli umani, su cui lavorano su base statistica allo scopo di rispondere con successo alle nostre richieste”, scriveva d’Isa lo scorso anno, come riportato in questo interessante articolo di Artribune.
Ma è davvero così? Forse solo in parte. Dopotutto, le macchine fotografiche non posseggono Big Data che ricostruiscono la storia dell’arte nel suo senso più lato ed esteso. Inoltre, l’arte generata dall’AI è differente dalla fotografia perché non richiede il tempo fisico di quest’ultima: in pochi secondi, è possibile generare il comando “/imagine” e ottenere risultati talvolta così straordinari da essere quasi indistinguibili da una realizzazione umana.
I detrattori dell’AI-generated Art sono numerosissimi, forse superiori ai suoi sostenitori. Alcuni di loro non sono addirittura più viventi: è il caso del filosofo statunitense Hubert Dreyfus (1929-2017) che, con eccezionale acume, aveva già previsto le possibili evoluzioni dell’Intelligenza Artificiale e ribadito a più riprese l’importanza che questa non accedesse a capacità prettamente umane e nobili, come appunto creatività, linguaggio e coscienza.
Tale opinione è pienamente condivisa dall’illustratore e fumettista italiano Lorenzo Ceccotti, in arte LRNZ, che individua proprio nell’arte generata dai software di Intelligenza Artificiale una grave minaccia per tutte le professioni grafiche, non solo da un punto di vista tecnico e artistico, ma anche e soprattutto etico. Secondo Ceccotti, al cuore del problema ci sono i dataset e la loro raccolta indiscriminata di immagini – che avviene in pratica senza permesso. Ma non sarebbe l’unica criticità da sottolineare: LRNZ cita anche il rischio di indistinguibilità tra un’opera realizzata da un essere umano se paragonata a quella prodotta dalla macchina, facendo riferimento agli ormai numerosi concorsi artistici vinti proprio con questo genere di approccio.
Infine, ci sarebbe da sviscerare la questione dei diritti d’autore, problema complesso che ancora non sembra trovare soluzione. A chi appartengono le opere generate con l’Intelligenza Artificiale? All’azienda che ha prodotto il software? All’utente che ha fisicamente digitato il comando testuale che ha portato alla produzione dell’immagine? Oppure, per una parte infinitesimale, ai miliardi di artisti autori delle immagini incluse nel dataset utilizzato come “ispirazione” dalla macchina? Dal momento che il software non dimentica ciò che apprende, e che miliardi di immagini sono ormai già state acquisite, risulta sterile per gli artisti anche chiedere di essere esclusi dal processo di raccolta dei dati.
Ecco quindi che, in tale complesso e controverso contesto, non meraviglia scoprire che Ceccotti, assieme ad altri artisti del calibro di Ariel Vittori, Sio, Francesco Artibani, Paola Barbato, Manuele Fior ed Elena Casagrande, stia raccogliendo fonti per “sostenere le spese legali necessarie a far regolamentare a livello comunitario europeo il modo in cui queste società raccolgono i loro dati”. E neppure all’estero va meglio: soltanto lo scorso gennaio, le artiste Sarah Andersen, Kelly McKernan e Karla Ortiz hanno intentato una causa contro Midjourney e Stability AI sostenendo che entrambe le aziende abbiano infranto i diritti di un numero incalcolabile di artisti viventi nel processo di apprendimento automatico necessario al training dei loro software.
Difficile immaginare quale sarà la sentenza e come sceglieranno di regolarsi queste grandi aziende. Tuttavia, è facile ipotizzare che l’arte generata dall’Artificial Intelligence non scomparirà. Potrà magari adattarsi e modificarsi sulla base di regolamentazioni e limiti che, di certo, verranno presto definiti, ma resterà – esattamente come è accaduto per la fotografia.
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